Questo vuole essere un mio [purtroppo modesto] omaggio alla poesia: una delle poche cose, con la musica, l'arte, la scienza, la storia e l'archeologia,
  la letteratura (e la famiglia, l'amicizia ...l'amore!) per cui credo valga forse la pena vivere.
 
  Questi testi - che trascrivo qui di seguito - risalgono ai primi anni '60.

     Forse, un giorno,
     riuscirò a dirti
     quello che da tanto tempo
     tengo nascosto nel cuore.

     Quel giorno, forse,
     tu mi ascolterai
     e per me sarà più facile
     parlarti d'amore.

     Quel giorno, invano
     io cercherò in me
     la solita, sciocca tristezza
     che ora mi chiude in me stesso.

     Forse quel giorno
     io sarò felice.
     E allora la mia vita
     non servirà più a niente.>

 

     [ © Giovanni Bredolo]
     [Macomer, 29 novembre, 1961]

     Quell'ombra che a volte
     ti increspa il sorriso
     è sola, o tra molte
     ti appare sul viso

     per poi scomparire
     quando di guardo?
     A me lo puoi dire,
     a me che già ardo

     d'Amore. Ti prego,
     non dir:"Non è nulla ",
     Non dir, già lo nego,
     che fin dalla culla

     sei stata così. Sai,
     se un pò di tristezza
     ci prende talvolta, poi,
     con una carezza,

     di nuovo scompare.
     Stavolta, mio amore,
     non basta sfiorare
     con poche parole

     la mia mano su te,
     né un bacio ha il potere.
     E mi chiedo perchè
     non posso vedere

     di nuovo il sorriso
     che avevi per me.

 

     [ © Giovanni Bredolo]
     [Sassari, 3 luglio, 1962]

     Si, noi non lo vogliamo credere,
     eppure è una cosa lampante.
     Stava bene dov'era.
     Se non fosse stato per noi
     non sarebbe venuto
     a portarci l'amore.

     Scese in mezzo alla gente
     così, senza paura, senza temere
     di divenire infetto,
     di sporcarsi le mani,
     vivendo fra noi.

     Scese in mezzo alla gente
     per portare la pace

     e noi, dopo tanto tempo,
     non l'abbiamo ancora capito.
     E lui è sceso per questo,
     per dirci:" Amate, come io amo".

     Cercarono di ucciderlo
     con pochi chiodi e un legno.
     Uno se ne lavò le mani
     temendo di insozzarsi
     ma, sciocchi, non capivano
     che pochi chiodi e un legno
     erano il suggello
     che ancora a lui mancava
     per essere, in mezzo a noi,
     in tutto uguale a noi.

     Una corona di spine
     col sangue che brillava
     più delle gemme splendenti
     della corona di un re.

     Scese in mezzo alla gente
     ma tutti, chi più chi meno,
     lavandosene le mani,
     si scostarono da lui
     temendo di sporcarsi.

     E ancora, dopo tanto tempo, noi,
     miseri e meschini,
     non abbiamo ancora finito
     questa triste opera di pulizia.

 

     [ © Giovanni Bredolo]
     [Macomer, 27 maggio, 1963]

     Forse,
     quando tutto sarà finito,
     e non avrò più tempo
     né per ridere
     né per piangere,
     a me tornerà il desiderio
     dei giorni che passammo avvinti
     fra le nostre braccia,
     braccia estranee allora.

     Ma sarà troppo tardi.

     E sarà più consolazione
     il tempo perduto,
     che disappunto d'amore.

     Forse,
     quando tutto questo sarà passato.

 

     [ © Giovanni Bredolo]
     [Macomer, 13 dicembre, 1962]

     Il lungo corteo
     si snoda tra le vecchie,
     sporche vie del paese.

     Davanti un chierico
     con una gran croce,
     un po' vergognoso
     di farsi vedere
     con quella veste.

     Poi un prete
     che pensa al lungo viaggio
     che farà tra giorni,
     per cose sue.

     Ora il carro.

     Il cocchiere
     impreca fra le labbra
     perchè il cavallo non vuol più correre
     come ai suoi tempi.

     Adesso la sposa,
     una sposa in pianto,
     che si distrae solo
     per vedere un modello,
     ma quanto carino!

     Quindi i parenti.
     Stanno in silenzio,
     i volti compunti:
     ...non si sa mai...
     (A suo tempo
     la sposa deciderà).

     Infine la gente,
     che sottovoce
     parla del tempo.
     A tratti si sente:
     "Era un buon uomo,
     ma tira vento".

 

     [ © Giovanni Bredolo]
     [Macomer, 3 maggio, 1962]

     Quando ti ricordo
     si fondono in me
     amore e odio,
     stima e disprezzo,
     interesse e indifferenza...
     Così,
     senza sapere perchè
     più questo o più quello,
     più ora che dopo,
     più bene
     o più male.

 

     [ © Giovanni Bredolo]
     [Macomer, 16 febbraio, 1962]

     Ogni tanto incontro qualcuno
     che ancora ha il tempo e la voglia
     di chiedermi: "Credi?"
     Lo ascolto e lo guardo
     con l'aria stupìta
     di chi, senza motivo,
     si vede assalito.
     Lo fisso avvilito
     nel vedere che in giro,
     confuso con me
     in questo sudicio mondo,
     c'è chi perde il suo tempo
     con questa favola.
     Sovente, ascoltanto,
     neppure rispondo
     a quella domanda
     che trovo sciocca
     più d'ogni altra.
     A volte neppure sento chi parla.
     Oggi ancora, mi sembra impossibile
     (e magari lo fosse)
      uno m'ha guardato
     con l'aria di chi compatisce
     e mi ha chiesto,
     umiliandosi un poco
     nel rivolgersi a me:
     "Come, non credi?"
     Oh! Giovane saggio
     se tu solo sapessi
     che da tempo non provo
     neanche più pena
     per quei come te
     che ancora hanno vita
     da perdere in niente!
     A te rispondo con poche parole
     sperando che più
     non debba sentire
     un uomo ragliare.
     Davvero tu pensi
     che a governo del tutto
     ci sia un supremo, infallibile
     essere?
     In questo luogo di sola pena
     dove non è amore che tiene le fila
     (e non lo è mai stato)
     dove tutto è così arido,
     dove tutto è perduto
     prima ancora di esistere...
     Davvero tu credi!
     Oh! Non ti accorgi dei bimbi
     infelici,
     uomini e donne con occhi
     spenti,
     del pezzo di pane bello e dorato
     che manca,
     delle ricchezze che mettono un velo
     su ogni cosa...
     E, sopratutto, non vedi che tutti
     hanno paura?
     Paura di nascere e di morire,
     e, quel che conta,
     paura di vivere,
     di essere uomini.
     Non noti
     l'indifferenza
     che tutto domina?
     Tu parli di mente, sapienza,
     bellezza, intelligenza,
     tu parli di Amore!
     Sciocco,
     quando stringi la mano
     le dita toccano il palmo
     e l'aria sfugge.
     Ed è marcia anche quella.

 

     [ © Giovanni Bredolo]
     [Cagliari, 22 luglio, 1962]

     Tu ridi di me, senza sapere
     perchè non reagisco,
     nè te lo chiedi, anche se pensi
     che sono stranìto
     perchè non ti guardo carico d'odio
     o di disprezzo.

     Ti prendo a gioco dei miei pensieri
     e tu aspetti che, calmo,
     affronti i tuoi strali
     per poi ricevere quella risposta
     che attendi da tempo
     per essere libera, senza rimorso
     per tutto quello che è stato fra noi.

     Però aspetti invano.

     Non ti dirò, con sguardo tagliente:
     " Va, se ti piace, non dirmi più niente",
     ma starò muto, nè toglierò
     dalle mie labbra
     questo spento sorriso
     che tanto mi piace

     e che in tanto supplizio
     ti toglie la pace.

 

     [ © Giovanni Bredolo]
     [Sassari, 4 luglio, 1962]

     Quelli che vennero prima di noi
     erano forse più saggi?
     Dicono: "Oggi tutto è cambiato,
     non riconosco più nulla
     di ciò che un giorno sapevo.
     Un tempo seguivo il progresso,
     un tempo... Un tempo... Un tempo!..."
     Sanno parlare solo del vecchio,
     solo di ciò che or non è più
     e non si avvedono che, così facendo,
     dimostrano solo che saggi non sono,
     se prima lo erano.

     Quelli che verranno dopo di noi
     saranno forse più saggi?
     Diranno:"Senti che sciocchi
     quei poveri vecchi?" Oppure
     avranno per noi la compassione
     che noi non proviamo
     per quelli che vennero prima di noi?

 

     [ © Giovanni Bredolo]
     [Macomer, 27 maggio, 1962]

     Se vuoi essere felice,
     avere la pace nel tuo cuore,
     se vuoi che la tua vita sia vita,
     dimentica il buio della strada,
     prova a credere in tutte quelle cose
     in cui non credi da tempo,
     spoglia dall'ironia ciò che ti circonda,
     e ascolta il sangue pulsare...
     Ma se preferisci essere come sei,
     se tu vuoi che l'amore sia amore
     guarda nel buio della strada,
     dimentica la luce
     troppo forte del sole, e della notte,
     spegni i tuoi sogni
     e non divagare.
     Apri gli occhi e guarda
     come sono grigi i fiori
     se visti bene, fin dentro ai petali,
     e fa fragorosi rumori
     i suoni ovattati dei flauti,
     e aspetta la morte
     anche se tarda sempre troppo. 

 

     [ © Giovanni Bredolo]
     [Macomer, 9 dicembre, 1962]

     Vorrei poter sentire di nuovo
     il profumo dei fiori.
     Sono belli, i fiori
     e, se ben ricordo,
     hanno un profumo
     delicato.
     Tenue (o forte)
     un profumo fantastico.

     E poi voglio vedere ancora
     i colori.
     Non solo per i fiori,
     quelli gialli, o rossi, o viola,
     ma per tutte le cose.
     Vedere i colori e sentire i profumi:
     la terra ocra, marrone,
     e l'odore del bagnato;
     il blu del mare,
     il verde del mare,
     il salmastro dell'aria.
     Quel meraviglioso grigio
     del temporale incipiente,
     nell'aria spenta che,
     cupa, intorno a me,
     mi fa venire i brividi
     come quando stavo con te,
     piena di colori e di profumi.

     Colori tenui, delicati, forti.
     L'oro dei capelli
     l'acciaio degli occhi
     di un grigio perla
     fissi al soffitto
     per il temporale incipiente,
     il salmastro che domina,
     e poi l'atmosfera spenta,
     il momento del brivido
     che ti scuote le membra
     e svuota in un attimo
     l'essenza di vita,
     dopo ore di amore
     soli nel nulla.


     [ © Giovanni Bredolo]
     [Macomer, 30 ottobre, 1962]


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